VALTER ZANARDI
LETTURE
Una storia vera
Aspettando George Clooney
Faceva freddo a New York ,la città tremava avvolta nel nuovo mantello dopo una abbondante nevicata. Il suolo si andava coprendo di una sottile lastra sdrucciolosa che scricchiava sotto il peso di passi prudenti .Freddo,un freddo bestia. Avrei voluto mettermi a correre e fuggire dal gelo,difendermi,o solo non giungere in ritardo all'appuntamento con George.
Mi fermo in Union Square. Il parco risplende nel bianco.
E' come stare dentro un libro di favole.
Da un sax lontano risuonano le note di Summer-time.
Cerco con lo sguardo il suonatore solitario ma sento solo sopraggiungere brusii i che risalgono lungo la strada.
Il gelo mi confonde. Disorientata, balbetto le mie indecisioni : entrare o attendere fuori dal parco. Attendere cosa? Il sax tace.
Un anziano signore in nero, cappello di feltro e occhialini scuri si fa largo fra i rami cascanti degli abeti, mi si avvicina. Sono un pupazzo di neve ghiacciata, le ossa perforate dal freddo.
Lo sconosciuto mi prende sotto braccio e mi parla con accento inglese:
“Sono il signor Addison "dice. "George non verrà, dovresti seguirmi"
Comincio a gridare.
“Non la conosco" gli urlo e il fiato che mi ritorna nella gola come quella volta, in Nigeria quando mi vi colse il panico.
“Non la conosco" ripeto e “non mi tocchi,sto aspettando George Clooney", e intanto mi sforzo di liberare il braccio dalla morsa d'acciaio.
Se sollevo le palpebre mi si presentano allo sguardo solo capelli brizzolati e due occhi azzurri colmi di lacrime: mio marito.
Chiedo subito: “Chi è il signor Addison?”
Prima dimmi tu “ chi e George Clooney?
Il braccio mi duole. Sono intirizzita. Negli orecchi rimbombano i suoni di strada.
Allargo lo sguardo, realizzo di essere in ospedale. Richiudo prontamente gli occhi e aspetto il tempo necessario per realizzare che mi sto riprendendo da un sogno.
Si, sono ricoverata in medicina. Una lacuna della memoria mi impedisce di ricordare come ci sono arrivata, ma rammento tutte le sofferenze precedenti, gli scontri, i diverbi, le incomprensioni con mio marito, con il medico.
Tutto fino al momento del ricovero.
Più volte mi sono rivolta al Pronto soccorso ricavandone ricette di farmaci contro la gastrite.
Mi sforzo di mantenere la calma e dentro di me sale il panico.
La flebo sta per finire !
Agosto di tre anni prima.
Mio marito viene sempre a farmi visita. Nel giorno della Assunzione entriamo insieme nella cappella dell' ospedale. Là piango al cospetto dell' immagine della masonna: non voglio morire.
Più niente mi interessa del mondo degli uomini e dei consumi, non le borse di marca o le scarpe di firma. L' importante è vivere.
Faccio un voto : frequenterò la Chiesa, diventerò migliore, mi dedicherò agli ammalati non appena le condizioni di salute lo consentiranno.
A letto riprendo a piangere. Sono stanca, sfinita per lo sforzo solo di fare pochi passi. Sono magrissima,peso 40 kili ma con una pancia enorme: forse è questo il peso che più mi affatica. Il mio aspetto è mutato, mi vedo brutta, si un colore scuro, più accentuato al viso e alle mani, la pelle molto secca, asciutta, disidratata.
Comincio a riflettere sulle mie condizioni, voglio capire questo male, la sua natura, le origini, il suo esordio.
Risalgo con le date a un anno prima quando perdo il lavoro e il mio contratto non sarà rinnovato.
Da sei anni ero rappresentante di cosmetici in quaranta paesi diversi. Non sono dispiaciuta per il mio licenziamento ma per il modo. Trovo che mi si è mancato di rispetto, nessuna riconoscenza per risultati ottenuti.
Disoccupata ho trascorso i mesi di agosto e settembre tranquillamente a casa, leggendo .
Il mese successivo ecco che la mia pelle diventa sempre più scura: non mi sono abbronzata al mare e anche in precedenza non mi sono mai esposta particolarmente al sole. Non capisco.
Poi improvvisamente sulle mani una vera esplosione di chiazze nere, altre sul viso, sul labbro superiore, perfino sulle gengive. Sono sconcertata, continuo a non capire.
In ottobre sono a Bucarest nel mio appartamento in riva al fiume. Cerco di ritemprare corpo e spirito, mi sento libera da conflitti famigliari e di lavoro. Solo raramente potevo disporre del mio tempo e inseguire i miei sogni.
Così decido di trascorrere le feste natalizie in Romania pur non sentendomi perfettamente in salute.
Passa un mese e divento ancora più scura: mi spavento.
A chi mi interroga sul mio colore rispondo con una battuta, ridendo da sola.
Una mattina squilla il telefono, esito a rispondere ma quando mi decido noto che non riesco a scendere dal letto. Tutto gira intorno a me.
Immagino un terremoto e rimetto la testa sul cuscino. E' la mia testa che gira.
Il telefono continua a squillare, ma proprio non riesco a rispondere.
A fatica mi siedo sul bordo del letto.
Quando la vertigine si calma mi trascino alla finestra.
Nevica.
Noto che tutte le anatre del fiume radunaro proprio davanti a me.
Penso di consultare un medico.
In strada al fresco sulla neve va un po' meglio ma sempre sono oppressa da una grande stanchezza.
Faccio colazione al bar e piccole spese.
L' odore di cucina mi procura nausea.
Divento inappetente, mi alimento solo con zuppe in brodo e riso in bianco, ma desidero cibi salati e sottaceti.
Dopo quattro giorni mi trovo degente in una clinica privata.
Mi sottopongono a vari esami endoscopici ed ecografici.
Si diagnostica una gastrite da Helicobacter, mi curo per questa patologia.
Quidi consulto uno specialista otorino a causa delle vertigini mattutine e un altro specialista per l'osteoporosi di cui pur soffro.
Tutti mi prescrivono farmaci ma i disturbi persistono.
Imparo a scendere lentamente dal letto per evitare capogiri.
La sarta ad ogni prova deve restringermi gli abiti.
Divento sempre più nera e più magra.
A Natale uno stuzzicadenti ambulante è ospite da una carissima amica.
Ciononostante è il più bel Natale della mia vita, anche se devo quasi digiunare.
Imparo a riconoscere i cibi che mi danno nausea e ad evitarli per il timore di vomitare
Trascorse le Feste, un' altra amica viene a farmi visita e quasi mi costringe a rivolgermi al pronto soccorso. Sono subito ricoverata.
Ancora esami. Ancora tutto in ordine tranne piccole patologie minori che non spiegano i miei disturbi. Vengo dimessa con prescrizione di visita
endocrinologica.
Ritorno in Italia, decisa a continuare le indagini qui.
Mi rivolgo subito al mio medico di base.
Per questi si tratta di una forma di depressione. Le macchie nere non sono che i segni della vecchiaia.
Peggioro.
Al mattino mi prende la nausea, una stanchezza enorme e un senso di fatica da non potermi reggere in piedi. .
Camino per pochi passi, e mi devo subito sdraiare.
Sto per arrivare al capolinea della mia vita?
Mi faccio accompagnare ogni giorno ad un pronto soccorso diverso.
Da qui mi rispediscono sempre a casa.
Un ricovero di una notte ad ... per una flebo.
Dimessa il mattino successivo con la solita cura e impegnativa per ulteriori esami endoscopici. Non vengono considerati gli esami già fatti.
Si decide un ricovero in psichiatria. La perdita del lavoro sarebbe la causa della depressione e l' anoressica del calo ponderale. Stanca e arrabbiata accetto il ricovero. Divido la stanza con una giovane signora. Presto solidarizziamo. Ingoio
psicofarmaci tutti giorni a tutte le ore.
In poco tempo divento come un automa che non chiede niente e dice sempre si:
okay ,non ci sono problemi.
Ma sono consapevole di non essere "matta".
Un giorno viene a farmi visita mia sorella con il compagno neurologo.
Questi appena mi vede dice: "Credo che sei nel posto sbagliato, non hai l'aspetto di una depressa e neppure di una malata psichiatrica, dovresti fare degli accertamenti mirati . Potrei sbagliarmi ma credo che potrebbe trattarsi di un Morbo di Addison. Parlerò io con il medico che ti segue". E' presente il fratello di mio marito, medico lui pure ma non esprime opinioni. Pochi giorni dopo mio marito chiede un colloquio con la psichiatra che mi segue. Si presenta insieme al neurologo.
La dottoressa li accoglie dicendo di non essere tenuta a rendere conto di quel che fa, né accetta di discutere la terapia o il programmi di indagini.
Non gradisce confronti con altri medici che non hanno titolo secondo lei, nonostante la mia delega e in presenza di mio marito. Sostiene di avere i propri punti di riferimento specialistici e soprattutto di sapere il fatto suo.
E' esperta. Ne nasce un piccolo diverbio ma senza conseguenze.
A me piace stare qua, mi sento protetta, non devo sempre ricorrere al PS, ho amici , non litigo in famiglia, non faccio sforzi, mi riposo.
Dopo l' "intromissione" del neurologo la dottoressa mi manda a fare altri accertamenti. Una nuova pillola si aggiunge alla terapia. Ancora prelievi, una flebo diversa, una visita cardiologica. Insomma un po' di cambiamenti; ma non sto ancora bene.
Una notte assunte le medicine serali a letto vedo il termosifone della stanza ricoperto di bellissimi fiori colorati.
Scendo dal letto per raccoglierli, la mia compagna di stanza mi trattiene e mi riaccompagna di forza al mio letto.
A tutti costi voglio quei fiori!
Al mattino mi si riferisce l' accaduto.
Realizzo che se rimango mi ammalerò per davvero. Devo andarmene!
Chiamo mio marito e gli dico di venire al più presto a prendermi.
Il giorno seguente nello studio della dottoressa esprimo la mia ferma volontà.
Inutili i suoi gli argomenti per trattenermi.
Mi dimettono con diagnosi di “depressione maggiore e ipotiroidismo autoimmune” mi si raccomandano regolari controlli della funzionalità tiroidea. Terapia con psicofarmaci.
A casa continuo un po' la cura , poi riduco il dosaggio degli antidepressivi . Sto meglio, inizio a mangiare un po' di più.
Contatto telefonicamente una lontana parente all’ ... General Hospital in California .
Le racconto la mia storia dal principio, le diagnosi insicure e incomplete .
Le riferisco anche il sospetto formulato dal neurologo, che si tratti cioè di un M. di Addison . Le dico di avere bisogno di certezze.
Due giorni più tardi salgo in aereo.
Viaggio massacrante ,vomito ostinatamente e continuamente. Tutto il viaggio in bagno. Il giorno seguente sono in ospedale.
Vengono ignorati i precedenti accertamenti e si iniziava daccapo con indagini strumentali che risultano ancora per lo più normali o negative salvo piccole eccezioni. Diventa necessaria una biopsia epatica.
Compilo subito i moduli per il consenso all'intervento ma non mi sento ancora di firmarli: voglio prima parlare con mio marito. Poi ritiro il consenso.
Più tardi apprendo che pure l’anestesista non giudica opportuna la biopsia.
Dopo cinque giorni esco dall'ospedale e continuo a chiedermi perché
nessuno voglia prendere in considerazione l'ipotesi diagnostica del neurologo.
Non trovo risposta.
Di nuovo in Italia e la solita sofferenza ...sto ancora malissimo.
Divento flebo-dipendente, giro gli ospedali per farmene somministrare.
Chiedo al mio medico di base una impegnativa di ricovero e gli mostro gli accertamenti eseguiti in California.
"Te lo avevo detto, la malattia è solo nella tua testa.... devi tornare in psichiatria, mi dice, ecco l’impegnativa!"
Io rifiuto ma loro insistono.
Io là non ci voglio tornare.
Mi rendo conto che così aggravo la situazione: più grido e più li convinco il mio posto è in psichiatria.
Io piango senza capire perché succede tutto ciò.
La mia mente continua a perdersi.
Venti dottori in tre paesi diversi mi hanno visitata, inghiotto una intera farmacia, ma le diagnosi sono sempre le stesse: depressione maggiore, ipotiroidismo, coliche addominali, magrezza, anoressia, disordini alimentari ... Descrivono sintomi, non definiscono la malattia.
Vengo tormentata tre volte con colonoscopie, endoscopie e continuo stare malissimo.
Mia sorella e il compagno tornano a casa mia.
Mi trovano molto sofferente e deperita.
Allora il neurologo si offre di valutare meglio lui la situazione e mi conferma il suo sospetto. Scrive una relazione dettagliata della propria visita in cui consiglia gli accertamenti necessari per un eventuale m. di Addison e mi rilascia uno scritto con la descrizione precisa delle caratteristiche della patologia, i relativi sintomi e quanto riscontrato su di me. Mi consiglia di non perdere tempo e di far riferimento al pronto soccorso, questa volta esibendo la sua certificazione.
Il 30 luglio sono di nuovo in pronto soccorso. Mi sento morire.
Incontro una dottoressa molto gentile.
Parliamo tanto, le spiego tutte le mie sofferenze, la mia paura di morire, le accenno alla visita neurologica, le mostro gli esami fatti in tre paesi diversi, la prego di non lasciarmi morire!
Ancora un prelievo venoso, poi la flebo, visita gastroenterologica, esami.
Vengo dimessa alcune ore dopo con un verbale in cui si descrivono ancora i sintomi "
Si accenna a una "Visita neurologica recente che pone sospetto di M. Addison". Poi mi si consiglia terapia antiulcera.
La mattina seguente mentre mi sforzo di far colazione racconto al neurologo quanto avvenuto al prono soccorso: dimessa senza verificare il suo sospetto diagnostico.
Lui allora scrive una nuova lettera per il mio medico di base. Prima di consegnarla vi sbircio, non capisco tutto, ma fra virgolette leggo “prima di etichettare la signora come “depressa “visto la documentazione, ritengo opportuno eseguire gli accertamenti necessari ACTH ,ADOLSTERONE, tutti i test di valutazione della insufficienza corticosurrenalica, etc.
Torno dal curante mostrandogli la lettera. Questi mi tratta con sufficienza "va bene, facciamo anche questi esami!" Il giorno successivo mi sottopongo ai test. Ora aspetto i risultati.
Sto malissimo, non posso mangiare, sono un cadavere.
Con gli esiti degli esami torno dal mio medico "va bene niente panico : “come ai diabetici manca l’insulina a te manca il cortisone" mi dice. Mi prescrive cortisone . L'indomani non sto in piedi, ormai aspetto la morte, non capisco più niente, cerco di sfuggire ai pensieri che mi affollano la mente. Pensieri colmi di rammarico, sgradevoli, ingombranti. Avevo visto in tv una trasmissione in cui si narrava di un tentativo di lento avvelenamento tramite mercurio. E se mio marito avesse fatto qualcosa di simile?
In quei momenti veramente pensavo di morire e supplicavo mio marito di dirmi la verità! Lo supplicavo di chiamare l’ambulanza, di chiamare qualcuno, di aiutarmi insomma!
La mente navigava in un tunnel, ma una voce di dentro mi diceva "cammina più veloce che puoi per arrivare alla luce, non fermarti, cammina, cammina,cammina cammina..cammina..
Credo proprio che lassù qualcuno mi ami !
Si dice che il nostro Signore non ti dà più peso di quello che puoi sopportare!
Il neurologo ha già chiamato il pronto soccorso di Padova, parlando proprio con la dottoressa che mi ha visitata due settimane prima! Quello che è successo dopo non me lo ricordo. Mi sono svegliata qui in ospedale.
“Fuori si sentono in lontananza i fuochi per la festa dell' Immacolata!
La mia nuova degenza in ospedale a Padova è impeccabile !
Dopo tante fatiche e sofferenze sono premiata con una assistenza da VIP.
Tutti giorni sono visitata da dottori medici, professori e da studenti .
Uno dei professori viene con il suo seguito di specializzandi, per conoscere di persona la paziente che regala alla scienza una malattia insolita.
Mattina e sera mi segue un giovane medico di rara professionalità.
Con un collega guarda i miei esami, si informa del mio stato, si preoccupa per tutto ciò che emerge man mano.
Di sera se è solo ci perdiamo un pò in chiacchiere.
E' stato impressionato dalla mia cartella clinica. Una sera mi dice “le ho sistemato la documentazione, ho messo tutto in ordine per data"
A proposito ho trovato anche la lettera del neurologo , gli faccia i miei complimenti!Fino all'ultimo è stato uno contro tutti, complimenti ancora!"
"Riferirò, ho risposto. Ogni volta che lo ringrazio per avermi salvato la vita risponde di aver solo fatto quanto chiunque altro, non servono ringraziamenti.
Ma io so quanto ha fatto! “La ringrazio di aver sistemato la mia cartella” dico."Non c'è che di che" risponde..."Mi raccomando", dice, deve rispettare assolutamente la cura" “. Rido.." Adesso che finalmente l'ho trovata non l' abbandonerò!".
Lui dice”Ascolti credo che presto la dimettiamo" Ehh... che felicità la mia!
Se ne va.
Una nuova versione di me stessa usciva dal ospedale con la medesime mani scure, con sette kg. in più, accompagnata da una nuova piccola famiglia: nonno Hashimoto zio Addison e i cugini Florinef, Cortone ,Eutirox e Acufeni.
Adesso i rumori delle strade di New York avevano un nome nuovo: Acufene. Per togliermi d'attorno i cugini "acufeni" c’era poco o niente da fare ...aiutava un po' la musicoterapia..forse necessitava conviverci..Durante il giorno, si mescolano ad altri rumori comunque disturbano poco. Ma la notte..la notte si sentono milioni di suoni sembra di avere in testa una radiolina accesa che qualcuno tenta di sintonizzare continuamente e con poco successo. Tavolta cambia l’intensità del rumore. Un giorno pensavo potesse essere quella voce dentro di me urlante per undici mesi prima di essere ascoltata. L'immaginavo come la bocca nell' “urlo” di Munch. Forse grida ancora contro tutti i menefreghisti, superficiali, incompetenti, ignoranti che fino a poco tempo prima stavano lasciandomi morire! Voi sapete a chi mi riferisco!